Fare la giornalista
significa viaggiare, osservare, scrivere. Come tutti i freelance,
quando non sto lavorando ho la sensazione di sprecare tempo. C’è
sempre qualcosa da vedere e annotare, c’è sempre un appunto da
prendere per trasformarlo in un’idea per un articolo o un racconto.
Ma il tempo di cui si
nutrono i racconti è il tempo dell’attesa.
Una volta mio padre mi ha
chiesto: “Come fai a farti venire in mente una storia?”
Ho risposto: “Ci
penso.”
Ma forse la risposta più
onesta è: “Non ci penso affatto.”
Le storie (o almeno
quelle di cui sono più soddisfatta) si formano nella pausa tra una
lettura e l’altra. Tra una chiacchierata con un amico e un giro in
centro per prendere un gelato e ascoltare le paure di un’amica.
Si può scrivere in
viaggio. Adoro farlo. Ovunque io vada, ho sempre con me l’iPad e un
bloc notes. L’inizio di questo post è stato scritto in autostrada,
mentre un amico era alla guida e fuori diluviava. Ma la fine la sto
scrivendo ora, a casa, quando della pioggia c’è solo il ricordo,
la sua bellezza è già sfuggita.
L'immagine è tratta da L'estroverso |
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